La conquista della terza dimensione
"Quando la ricerca attorno a un determinato problema artistico è giunta a un punto tale di maturazione che – a partire dalle vecchie premesse- sembra infruttuoso procedere nella stessa direzione, avvengono di solito quei grandi [...]cambiamenti di rotta che creano, proprio attraverso la rinuncia alle posizioni già raggiunte, ossia attraverso un ritorno a forme di rappresentazione apparentemente «più primitive» la possibilità di valersi dei materiali di scarto del vecchio edificio per la costruzione di uno nuovo”.
(Erwin Panofsky, “La prospettiva come forma simbolica”, ed. Abscondita, pag.29)
Quando uscì il primo film completamente in CGI (“computer genereted imagery”), “Toy Story”, era il 1995.
Noi ragazzini di allora li chiamavamo entusiasticamente “film fatti al computer” oppure “film 3D”.
Ci sembrava che la nuova tecnica ci avesse portato in un'era meravigliosa di animazioni con una resa spaziale più vicina al vero di quella che ci proponeva l'animazione tradizionale.
Era veramente così? No.
Sia la nuova tecnica che quella tradizionale cercavano di riprodurre la tridimensionalità su una superfice piana: la prima con tecniche pittoriche, la seconda con programmi digitali.
fotogramma tratto da "La sirenetta"(1989)
Nel momento in cui uscì “Toy story” la resa artistica dei film di animazione tradizionale era arrivata a livelli eccelsi ed era artisticamente superiore alla neonata CGI.
Quando uscirono i primissimi televisori a schermo piatto molti appassionati di tecnologia dicevano che gli ultimi esemplari di televisori a tubo catodico ancora in vendita avevano una qualità dell'immagine nettamente superiore ai primissimi televisori Led.
Alla stessa maniera, quando uscirono i primi, “primitivi” film in CGI, l'animazione tradizionale aveva raggiunto livelli talmente elevati che sembrava infruttuoso procedere nella stessa direzione, parafrasando la citazione di Erwin Panofsky che apre questo post, tratto dal suo illuminante “La prospettiva come forma simbolica” del 1927.
lo storico e critico dell'arte Erwin Panofsky (1892/1968)
Ci fu un preciso momento di transizione, quasi un passaggio del testimone, tra l'animazione tradizionale e quella “al computer”, ed si può individuare in una precisa scena, che resterà iconica.
Si tratta della scena del ballo in “La bella e la bestia”.Come è noto quella famosa scena fu il primo tentativo di unificare l'animazione tradizionale alla CGI.
Si volle creare per la prima volta uno sfondo “in movimento”, ossia nel quale l'inquadratura potesse girare liberamente a 360 gradi attorno ai personaggi. Si creò dunque lo sfondo in “3D” al quale si unì l'animazione tradizionale dei personaggi. Il risultato fu superlativo (non era affatto scontato), ancora oggi la scena non sembra invecchiata di un giorno, come le opere d'arte meglio riuscite.
La rappresentazione tridimesionale dello spazio in una superfice piana è sempre stata una delle maggiori sfide della pittura.
La pittura antica, nello specifico quella romana, conosceva la tridimensionalità, come si può vedere in diversi esempi che ci sono rimasti.
Tuttavia la ricerca della tridimensionalità nella pittura romana non riusciva ad avere una “superiore unità” come dice sempre Panofsky nell'opera già citata all'inizio.
Anzi, visto che non riuscirei a dirlo meglio di lui, riporto il passo in cui parla dell'apparente paradosso della pittura antica:
“L'antichità, in mancanza di quella superiore unità deve pagare qualsiasi aumento della spazialità con una diminuzione della corporeità, tanto che lo spazio sembra vivere a spese delle cose. Appunto questo spiega il fenomeno, pressocchè paradossale, perchè il mondo dell'arte antica, finchè rinuncia a rappresentare lo spazio tra i corpi,risulta più saldo e armonico di quello moderno, mentre appena l'arte antica introduce la rappresentazione anche dello spazio (e quindi specialmente nella pittura di paesaggio), questo spazio diventa contraddittorio, trasognato e chimerico” (E. Panofsky, “La prosettiva come forma simbolica”, ed. Abscondita, pag 26)
Dice Panowsky, quando la pittura romana si concentrava sullo spazio, le figure sembrano “trasognate e chimeriche”, quasi come dei fantasmi, dei corpi non realmente inseriti nello spazio, come vaganti. Io aggiungerei, quasi delle figurine appiccicate in maniera posticcia al paesaggio, effetto accentuato anche dalla non correttissima diminuizione proporzionata nello spazio delle stesse figure, che talvolta risultano troppo grandi rispetto alla loro presunta posizione spaziale. Gli affreschi di Villa Graziosa sono degli ottimi esempi a riguardo.
affreschi di Villa Graziosa , Roma (50 a.c. circa),
Quando si cerca di ricreare uno spazio reale in cui inserire i corpi nella loro consistenza, si fa ricorso all'illusionismo architettonico, un tempietto, una porta.
Ma la povera figura sembra comunque soffocare in quello spazio incoerente e pieno fino all'inverosimile. Questo affresco proveniente della Casa di Meleagro, sempre a Pompei, lo dimostra piuttosto bene.
affreschi della Casa di Meleagro (I secolo a.c.),
Con la fine dell'antichità e la scomparsa di quasi tutte le testimonianze pittoriche dell'epoca, seguiranno i secoli dell'arte bizantina dell'Europa orientale e romanica dell'Europa occidentale.
Entrambi gli stili non daranno grande importanza alla rappresentazione tridimensionale.
Anzi, diciamo pure che lo stile bizantino e soprattutto romanico saranno dei veri e proprio schiacciasassi nella ricerca della artistica della terza dimensione.
Il povero sant'Apollinare nell'abside della basilica a lui dedicata, a Ravenna, sembra aprire le braccia sconsolato e dire: ma dove mi avete messo? In una superfice con le piantine e gli alberelli tutti ordinate, una sopra l'altra, le pecore in fila indiana? Ma che davvero?
Eppure i bizantini ancora qualche reminiscenza forse della pittura antica per la rappresentazione della terza dimensione l'avevano ancora, come possiamo notare in certi dettagli.
Però certo, fa abbastanza ridere quest'ultima cena. E poi: due soli pesci per tredici persone?? Ah giusto, Lui li sapeva moltiplicare!
La pittura romanica si inizia a sviluppare dopo l'anno Mille. Abbiamo esempi soprattutto di affreschi e miniature, spesso lo stile romanico e bizantino si confondono, in generale del romanico ci sono rimaste più testimonianze architettoniche che pittoriche.
Nella pittura romanica lo spazio si schiaccia ancora di più. Ancor meno dei bizantini, i pittori romanici mettono sfondo e personaggi sullo stesso piano, gli danno lo stesso peso.
Questi secoli di rappresentazioni piattissime sembrerebbero un'enorme passo indietro nella ricerca della terza dimensione, persino rispetto ai tentativi della pittura antica.
In realtà non è così.
La pittura romanica, nel suo estremo appiattimento, compie un'unificazione fondamentale tra spazio e volumi, quella “superiore unità” che mancava alla pittura romana. Appiattendo spazio e volumi insieme, allo stesso tempo li si unisce.
“Con questa trasformazione radicale, la pittura romanica sembra rinunciare una volta per tutte a qualsiasi illusione spaziale; e tuttavia proprio essa costituisce la premessa di una concezione spaziale veramente moderna. Perchè se la pittura romanica riduce alla superficie contemporaneamente e con pari rigore i corpi e lo spazio, proprio facendo questo suggella e rinsalda per la prima volta l'omogeneità tra questo e quelli, trasformando la loro elastica unità ottica in un'unità salda e sostanziale: d'ora innanzi i corpi e lo spazio saranno uniti per la vita e per la morte, e se più tardi il corpo tornerà a liberarsi dai vincoli che lo legano alla superficie, non potrà crescere senza che lo spazio cresca in egual misura.”
E. Panofsky, “La prosettiva come forma simbolica”, ed. Abscondita, pag 33).
Il momento in cui il corpo si libererà dai vincoli che lo legano alla superfice avverrà verso la fine del Duecento.
Con lo stile gotico inizia una nuova attenzione degli artisti verso lo spazio.
E' in Italia che avviene il “salto tecnologico” più significativo nella riproduzione della terza dimensione, soprattutto grazie a Duccio di Boninsegna e Giotto di Boldone.
Duccio (1255- 1318) è senese, Siena alla fine del XIII secolo è fortemente influenzata dallo stile gotico francese.
Il gotico si caratterizza per essere uno stile un po' fighetto, per usare un termine colto era detto “palatino”, che nasce cioè nei palazzi e nelle cattedrali, per nobili in calzamaglia che non hanno mai lavorato e dame che si fanno corteggiare coi sonetti, per capirci.
Uno stile che si preoccupa più della ricercatezza formale, della grazia, della decorazione, piuttosto che della ricerca spaziale e soprattutto della zozza realtà (ci torniamo tra un po').
Le opere di Duccio sono a metà tra la grazia gotica d'oltralpe e maestosità bizantina, come possiamo vedere ad esempio nella Madonna Rucellai del 1285.
Una madonnona dal fisico bizantino, circondata da angeli anch'essi ancora bizantini, ma con una cura dei dettagli del mantello e dei merletti dorati che è decisamente gotico.
Ma l'aspetto interessante per il nostro discorso è il trono: la Madonna sta assisa su un trono disegnato in assonometria, che crea un preciso spazio fatto per essere occupato da un volume. Persino gli angeli, i due in basso, contribuiscono a creare l'effetto tridimensionale, ponendosi leggermente più avanti rispetto al trono. Dietro esiste persino la linea di terra.
Giotto (1267- 1337), che opera a Firenze ed è di una decina di anni più giovane di Duccio, porta avanti in maniera ancora più approfondita la ricerca spaziale.
Giotto è poco interessato ai formalismi gotici e molto più interessato a rappresentare i sentimenti umani e nella ricostruzione di uno spazio credibile nel quale far agire i suoi personaggi. Ma soprattutto, a Giotto interessa essere credibile nel rappresentare la realtà, interessano i dettagli, non certo le decorazioni.
La sua ricerca del pathos si collega “poeticamente” alla volontà di costruire uno spazio tridimensionale simile al reale.E' come se ci dicesse : queste scene commuovono perchè sono accadute veramente, in uno spazio reale.
Sia Duccio che Giotto, seppur in maniera diversa, raggiungono nella rappresentazione dello spazio tridimensionale, quell'unità che mancava ai romani: i corpi occupano coerentemente lo spazio.
La maniera di Giotto fu quella che ebbe maggior successo, anche perchè era uno stile popolare, che riusciva ad essere compreso da tutti, dalla fortissima potenza narrativa.
Attorno a lui si creò una vera e propria scuola, molti suoi aiutanti e seguaci portarono avanti il suo stile (i cosidetti “giotteschi”) per molti decenni ancora.
I giotteschi portano avanti la lezione del maestro dando molta attenzione alle proporzioni, alla resa spaziale, e poco ai virtuosismi decorativi del gotico. In questo affresco di Maso di Banco lo spazio è semplice e ben definito, anche se un po' incoerente e dall'aria un po' metafisica.
Una grande incoerenza realistica, tipica di tutta l'arte che voleva essere narrativa del Trecento e fino a Quattorcento inoltrato, era quella di raffigurare varie parti della storia in un unico sfondo, con l'effetto di moltiplicare gli stessi personaggi, che si trovano in posti diversi a fare cose diverse, come se il dipinto fosse un palcoscenico teatrale (e in effetti, in questo caso, lo sfondo potrebbe anche ricordare una scenografia teatrale).
Nonostante l'atmosfera quieta, il titolo di questo affresco è forse uno dei più cazzuti di tutta la storia dell'arte passata, presente, futura, intelligenze artificiali comprese: "Papa Silvestro annienta un drago e risuscita due maghi" !!!
Vorrei avere anche io la pacatezza del buon Silvestro mentre annienta i draghi e resuscita i maghi, invece vado in ansia per molto meno. Ecco, quando gli imprevisti della vita ci assillano, pensiamo a papa Silvestro nel suo paesaggio metafisico che annienta i draghi e resuscita i maghi, peraltro davanti ad un pubblico che commenta.
Da notare anche la resa delle rovine, le crepe e le erbacce sui muri, tutti dettagli di una realtà osservata nella sua caducità, nelle sue imperfezioni. Dettagli che si coniugano con la sintesi volumetrica solida e netta delle architetture, mantenedo la scena tra il metafisico e il fisico.
A Siena, come abbiamo già detto, non sono molto interessati a rappresentare crepe sui muri, rimane l'influenza decorativa del gotico , ma il 3D arriva pure qua.
Solo che i senesi sono sempre fissati con l'oro che piaceva tanto ai bizantini, e quindi il buon Ambrogio Lorenzetti ad esempio, te lo disegna pure il pavimento in prospettiva, ma poi chiude con l'oro e appiattisce tutto.
Tra Trecento e Quattrocento è il periodo che gli storici chiamano “tardo gotico”o “gotico internazionale” perchè chiamarlo “ periodo in cui i pittori risolvono il problema dello spazio riempendo i dipinti di personaggi fino all'inversosimile” era troppo lungo.
Però è quello che succede.
A cavallo dei due secoli lo stile gotico ha raggiunto vette qualitative eccelse dal punto di vista della tecnica pittorica, ma spesso lo spazio è sacrificato dall'eccesso di personaggi, un po' perchè questa abbondanza si sposa bene con gli intenti decorativi del gotico.
Un po' per mascherare ancora una certa approssimazione nel ricreare lo spazio.
Un esempio è la meravigliosa adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano.
A sinistra la sacra famiglia davati ad una costruzione di mattoni fatta su misura ad altezza d'uomo, attaccata ad un'improbabile grotta, sullo sfondo un risicatizzimo paesaggio molto piatto col corteo che sia allontana dalle proporzioni discutibili. Sulla sinistra il meraviglioso caos organizzato della corte dei re magi, di oro vestiti. Servi, cavalli, scimmie, piccioni, uno dietro l'altro in barba alle più elementari disposizioni di distanziamento sociale.
Digressione personale: è l'opera che più mi colpì quando visitai gli Uffizi per la prima volta, tanti anni fa. Le decorazioni dorate, i dettagli , le dimensioni , la cornice, la stessa resa dell'oro, erano tutti elementi che nei libri non si notavano minimamente. E' una di quelle opere che ti fa capire come sia diversa la fruizione dell'opera dal vivo. Ogni volta che posso la vado a salutare (qui sopra, nel 2021).
Non possiamo elencare tutti i grandi pittori che sperimentarono tecniche diverse per la rappresentazione dello spazio e della prospettiva, perchè sono davvero tanti in questi anni.
Tra tutti però emergono tre particolari artisti, in due aree diverse dell'Europa, che casualmente proprio negli stessi anni, realizzano delle opere fondamentali che codificano visivamente quello che sarà IL metodo per antonomasia col quale tutti gli artisti del Rinascimento si cimenteranno per la rappresentazione dello spazio: la prospettiva centrale.
Tra il 1425 e il 1428 il pittore aretino Masaccio realizza la “Trinità” per Santa Maria Novella, a Firenze.
Tra il 1426 e il 1432 i fratelli fiamminghi Jan e Hubert van Eyck realizzano il polittico dell'adorazione dell'Agnello mistico per la cattedrale di San Bavone a Gandt.
Si è trovato un metodo, meno improvvisato delle soluzioni dei decenni passati, che ha basi scientifiche e geometriche ben precise.
L'architetto e studioso Leon Battista Alberti lo mette per iscritto nel suo “De Pictura” del 1435, da quel momento in poi inizia la rivoluzione prospettica quettrocentesca, un altro “salto tecnologico”(la prospettiva centrale viene ancora oggi chiamata anche “prospettiva albertiana).
Questo metodo verrà utilizzato da tutti i grandi artisti del Rinascimento da Piero della Francesca a Raffaello.
Certamente è stato fatto un passo enorme nella rappresentazione della terza dimensione, ma nel giro di qualche generazione gli artisti iniziano a vedere i limiti di questo metodo.
Insomma, si, meglio di Giotto e compagni, ma si ha l'impressione che non basta mettere gli oggetti e gli edifici su un piano prospettico per renderli realistici.
Rimaneva qualcosa di strano.
Un giovane toscano inzia a ragionare sul fatto che da lontano gli oggetti non sono solo più piccoli, ma anche più sfumati e azzurrini.
Non rimangono nitidi, come li dipingevano i suoi colleghi.
Questo giovane poi va anche a fare il fuorisede a Milano per dei lavori di ingegneria, la nebbia milanese conferma le sue intuizioni, gli oggetti da lontano sfumano.
La macchina albertiana è utile, ma non sufficiente, gli oggetti si devono anche sfumare. E non è solo un fenomeno legato alla nebbia, anche col bel tempo, gli oggetti lontani risultano sfumati e anche un po' azzurrini.
E' l'atmosfera, gli strati d'aria, che danno quest'effetto.
Scriverà tempo dopo:
"Da una distanza in là gli alberi, quanto più s'allontanano dall'occhio, tanto più gli si dimostrano chiari, tantoché all'ultimo sono della chiarezza dell'aria nell'orizzonte. Questo nasce per l'aria che s'interpone infra essi alberi e l'occhio, la quale essendo di bianca qualità, quanto con maggior quantità s'interpone, di tanto maggiore bianchezza occupa essi alberi, i quali per partecipare in sé di scuro colore, la bianchezza di tale aria interposta rende le parti oscure più azzurre che le loro parti illuminate"
Il giovane toscano proveniente da Vinci, si chiamava Leonardo, applica nelle sue opere queste intuizioni, questo nuovo modo di approcciarsi alla prosepttiva verrà chiamato “prospettiva aerea”. Il testo citato proviene dal "De Pictura", un manoscritto raccolto da un suo allievo attorno al 1540, basato sulla grande quantità di scritti che Leonardo aveva lasciato a proposito della pittura.
Non ci addentreremo nel dettaglio di come, nei secoli successivi, la rappresentazione della tridimensionalità raggiunga altissimi livelli nell'arte occidentale, perchè gli esempi sarebbero davvero tanti.
Gli artisti combineranno in maniera sempre diversa le lezioni rinascimentali. La resa della terza dimensione non è più qualcosa di nuovo, è sempre più realistica e sofisticata.
Quando l'Europa si spacca in due con le guerre di religione, i cattolici si divertiranno a costruire prospettive celesti con le cupole barocche, i protestanti si concentreranno sulla resa spaziale di elementi più concreti come paesaggi e interni di case.
Poi tutto andrà sempre più veloce. Sempre più automatico.
Già pochi anni dopo il “De Pictura”, un orafo tedesco, Johannes Guthemberg, inventa un torchio che permette la stampa in serie , in automatico, dei libri (i tedeschi sono sempre stati amanti delle macchine).
Ma per automatizzare la rappresentazione pittorica ci vorrà ancora parecchio.
Esisteva un fenomeno naturale che veniva studiato fin da parecchi secoli, quello della “camera obscura “ (espressione usata per la prima volta da Keplero nel 1604).
Il principio è molto semplice. Praticando un foro in una stanza chiusa, la luce che passa attraverso proietta, nella parete opposta, l'immagine dell'oggetto di fronte al foro. Anche Leonardo aveva fatto esperimenti a riguardo, ma non le aveva utilizzate per scopi pittorici, bensì per dimostrare alcune proprietà della luce.
Nel 1558 un matematico di Vico Equense, in provincia di Napoli, Giovan Battista della Porta nel suo “Magia Naturalis” suggerisce l'utilizzo di lenti convesse per perfezionare la proiezione delle immagini per poterle utilizzare come aiuto nel disegno. “Magia Naturalis” (che trattava di svariati argomenti legati alla natura e alle “magie” che in essa si potevano incontrare) ebbe una grande diffusione, e con essa l'idea su come si poteva costruire una camera oscura.
schema di funzionamento di una camera oscura
In pratica nasce la fotografia, ma ancora manca la pellicola.
Siamo al prossimo passaggio tecnologico nella rappresentazione della terza dimensione, siamo vicinissimi all'automatismo.
Con procedimento della camera oscura la rappresentazione prospettica diventa “automatica”, non c'è bisogno di compiere particolari calcoli: basta applicare il meccanismo.
La useranno soprattutto i vedutisti veneziani, specialmente quel paraculo di Canaletto.
"Piazza San Marco" , Canaletto, 1723,
Coi vedutisti tra Sei e Settecento sembra che la tecnica pittorica si sia perfettamente sposata con l'espediente tecnologico. Ma non basta. Per il prossimo secolo e rotti si cerca in tutti i modi di rendere il processo ancora più automatico.
Non basta più che un'immagine si proietti nel muro e poi il pittore la dipinga rispettandone scupolosamente la prospettiva, si cerca il modo che l'immagine rimanga impressa senza la mano dell'artista.
Il seguente salto tecnologico è facile da intuire.
All'inizio del XIX secolo i francesi riescono nell'intento di impressionare automaticamente l'immagine proiettata dalla camera oscura: nasce la fotografia, è il 1839 e il brevetto è del signor Daguerre (ma le prime immagini impressionate risalgono al 1827 per opera dello sfortunato inventore Niepce).
Louis-Jacques-Mandé Daguerre
Nei decenni seguenti l'invenzione della fotografia, che compie i suoi primi, goffi passi nel mondo dell'immagine, la pittura sembra aver colto prima ancora della stessa fotografia, lo spirito più vero e genuino della stessa fotografia.
Presto la fotografia avrebbe preso definitivamente il posto della pittura come strumento più preciso per rappresentare la terza dimensione.
La pittura, prima di abbandonare per sempre (o quasi) questo compito, decide , quella terza dimensione, di farla esplodere.
Ad accendere la miccia fu Paul Cézanne (1839-1906) talmente avanti da non essere completamente compreso dai suoi contemporanei (di sé diceva “sono nato troppo presto”).
Cézanne,con i suoi quadri dagli spazi schiacciati e dai volumi geometrizzati, accende la miccia per grande esplosione della terza dimensione in pittura.
"Natura morta con mele e arance", Paul Cezanne, 1900,
olio su tela, Museo D'Orsay, Parigi
Quando scoppierà la bomba?
Un anno dopo la morte di Cézanne il Salon de Automne dedica all'artista una grande retrospettiva che impressionò tanti giovani artisti che andarono a vederla.
Tra questi artisti c'è un giovane Pablo Picasso che, da lì a poco, quella bomba la farà esplodere.
Marco Lanza
settembre 2022
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