Il San Giorgio di Rubens spacca tutto



San Giorgio, ex soldato romano sotto Diocleziano, convertito al cristianesimo, se ne va in giro in uniforme per la Libia.

Arriva nella città di Silena oppressa da un drago .

Gli abitanti di Silena danno al drago delle pecore per placarlo, ma lui vuole carne umana e inizia a mangiarsi gli abitanti.
Gli abitanti terrorizzati decidono di tenerlo buono sorteggiando tra la popolazione una pecora e una persona da dare in pasto al mostro.

Un giorno viene estratta la figlia del re.

Guarda caso, lo stesso giorno che San Giorgio passava di là.

Il santo tranquillizza tutti, in primis la donzella.

San Giorgio affronta il drago con le armi e una croce, lo ferisce, ma non lo uccide. Lo porta in catene in città promettendo di ucciderlo se si fossero convertiti al cristianesimo.

Un metodo di evangelizzazione forse brutale, ma sicuramente efficace.

Un santo con una biografia del genere non poteva che essere uno dei più popolari di tutti i tempi, ed è tra i più rappresentati.






(immagini di "San Giorgio" bizantini senza informazioni sulla datazione. Qualcuno potrebbe essere una copia moderna di un'icona medievale)


Ma mentre nella tradizione orientale il santo è raffigurato in forma longilinea e spirituale e la lotta contro il drago molto idealizzata, a volerne sottolineare il carattere spirituale e simbolico, prima che realistico, in occidente i nostri artisti non perderanno occasione di rappresentare la scena nella sua potenza e brutalità.




Sono tantissime le versioni della storia, impossibile citarle tutte in questo post, che magari mi riserverò di aggiornare quando ne troverò altre o qualcuno me ne segnalerà qualcuna interessante. Voglio citarne una che ho visto spesso quando andavo all'università a Bologna. Sto parlando di quella ancora elementare, ma già sorprendentemente dinamica, di Vitale da Bologna di metà Trecento .
Il cavallo è visibilmente troppo piccolo, lo spazio appena accennato, la principessa sembra una che si avvicina alla scena per caso per vedere che succede.Il drago è ragionevolmente mostruoso e inquetante. Le linee compositive di questa tavola mi hanno sempre affascinato, nella sua semplicità Vitale riesce a rappresentare benissimo la tensione di Giorgio prima di trafiggere il drago, la testa del cavallo all'indietro controbilancia perfettamente la posizione dell'ex soldato romano.
Se passate a Bologna andate a visitarla in Pinacoteca.




Poi c'è quella famosissima di Paolo Uccello del 1470 (forse tra quelle che meglio ha alimentato l'immaginario favolistico de “la principessa salvata dal cavaliere dal drago cattivo”), con la principessa che trasuda un'eleganza ancora da gotico internazionale e senza un capello fuori posto benchè tenga il drago al guizaglio, un meraviglioso drago alato che sembra uscito da una serie fantasy e San Giorgio con un cavallo che vuole essere dinamico, mentre infila una lancia con precisione matematica nell'occhio del povero dragone in un'atmosfera placida e sognante.






Le due versioni qui sopra sono di un giovane Raffaello Sanzio entrambe datate all'incirca al 1505, la prima conservata al Louvre, la seconda a Washington, dove vi arrivò per vie molto traverse (era in Russia e Stalin la vendette agli americani per comprare dei trattori).
Entrambi di piccolo formato, in entrambi il santo si muove in un quieto paesaggio umbro, ancora molto influenzato dal suo maestro, il Perugino.
Nel primo Giorgio sembra stia cacciando via un cane rabbioso, da donzella sullo sfondo è spaventata, ma è ancora troppo gentile e tardo gotica, se non nello stile, negli atteggiamenti affettati.
Nella seconda il buon Giorgio il drago lo trafigge, la donzella qui decide di mettersi a pregare (che tanto, se scappa il drago, non c'è fuga che tenga, la trovo comunque più concreta della sua omologa del dipinto parigino).
La pennellata nel secondo dipinto è più consapevole e dettagliata, la composizione segue una diagonale opposta rispetto al dipinto precedente.
Il cavallo guarda in camera, scelta che sinceramente non capisco, ma è Raffaello è può fare quello che vuole.





Ma la versione di vui voglio parlare è quella più potente di tutte di qualche secolo dopo.
Nel 1606 il ventinovenne (VENTINOVENNE) Pieter Paul Rubens dipinge questo capolavoro.
Via le stilizzazioni spiritalistiche, via le atmosfere placide e sognanti, via ogni residuo di medioevo, via pure il paesaggio.

Rubens torna alle radici della storia di San Giorgio, il cavaliere torna ad essere quello che era in origine, un soldato romano.
Cristianizzato, certo, ma che evangelizza a mazzate e ricattando villlaggi con un drago semicosciente a guinzaglio.
La tela è dominata da lui sul suo cavallo bianco, che la occupano diagonalmente da sinistra a destra, dal basso verso l'alto. Giorgio è un muscoloso e barbuto ex soldato romano che gira ancora in scintillante uniforme con mantello e pennacchio svolazzanti.
Il cavallo si solleva sulle zampe anteriori e Giorgio sta per dare la mazzata finale al drago già colpito. Da cosa? Ma dalla croce ovviamante, che gli ha già conficcato nel palato e gli esce quasi dagli occhi alla bestia fetente che quasi possiamo sentire urlare.
Forse non è una croce, forse è la lancia con un pezzo staccato che forma una croce, ma il riferimento alla croce è evidente. La croce, il Giorgio di Rubens, non la porta in giro per bellezza, lui ci trafigge il Maligno!




In mezzo a questo casino il muscoloso santo è già in posizione, muscoli tesi e posizione giusta, non tradisce nessuna eccitazione, egli manitiene la calma in mezzo alla situazione di pericolo che sta per risolvere. Non è la calma spirituale e del tutto simbolica dei sangiorgi efebi e secchi bizantini , è la calma virile dell'uomo che ha il controllo della situazione.


Non è l'unico a mantenere la calma nel quadro. Anche la principessa sullo sfondo non sembra particolarmente terrorizzata, solo leggermente turbata. Essa sa , che con un tale manzo a risolvere la questione, non corre alcun pericolo.
A differenza dalla compita principessina secca e gotica di Paolo Uccello, quella dall'improbabile fuga e quella orante di Raffaello, la principessona in carne di Rubens sembra in abbigliamento da camera da letto, sembra essersi appena alzata, lascia scorgere una spalla nuda, quasi ad offrisi sessualmente al suo salvatore.

E poi c'è la pecora. Su di essa c'è poco da dire. Per come è stata inserita nel quadro sembra quasi che Rubens sia stato obbligato a metterla per forza per rispettare l'iconografia. Oppure lo sapeva prima, si era scordato di inserirla nel disegno e lo abbia fatto all'ultimo pur in mancanza di spazio. Perchè dai, diciamolo, una pecora tenuta per una zampa in piedi dalla pricipessa è davvero poco plausibile.


Marco Lanza
scritto nel febbraio 2021, integrato nell'aprile 2022

Commenti

  1. Interessante il tuo taglio. Grazie

    RispondiElimina
  2. Mi colpisce la figura della principessa: così illuminata, pallida, fuori dal turbinío della scena, quasi indifferente. Non sembra impaurita, anzi, sembra già pensare al dopo, a Giorgio e allo spettatore con il quale è l’unica a cercare un dialogo, sì probabilmente sensaule.

    RispondiElimina
  3. Analisi puntuale, ironica, ricca di riferimenti e piacevole da leggere. Mi ha catturato con l'incipit: non conoscevo la parte della conversione sotto ricatto

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Resurrezioni nell'arte

La conquista della terza dimensione

Le natività nell'arte