Resurrezioni nell'arte


Per quanto la resurrezione di Cristo sia l'elemento teologicamente più importante della religione cristiana, le sue rappresentazioni non sono così iconiche e universalmente conosciute come quelle della natività e della crocifissione.

Il motivo, a ben guardare, è semplice. 

Natività e crocifissione sono eventi concreti, storici, descritti in maniera più o meno simile in tutti i vangeli. Si narra della nascita e della morte di un uomo, eventi interpretati in maniera diversa da credenti e non credenti, ma in quanto eventi in sé difficilmente confutabili nella loro normalità. 

La resurrezione è una faccenda un po' diversa. 

Qui subentra la fede, il dover credere a qualcosa non perchè l'hai vista, ma perchè te l'hanno raccontata. Uno potrebbe pensare che questo valga per tutti i credenti venuti dopo gli anni in cui visse Gesù, ma la verità è che anche come evento miracoloso narrato dai contemporanei (o quasi) di Cristo, la resurrezione fu presentata come un atto di fede, al quale credere senza aver visto, fin dall'inizio. 

I vangeli infatti non descrivono l'evento della resurrezione. Non esiste nessun passo dei vangeli in cui venga letteralmente descritto Cristo che risorge.

Vengono descritti angeli che spostano la pietra che chiude il sepolcro, terremoti, guardie tramortite. 

Oppure ancora angeli che annunciano alle donne o ai discepoli l'avvenuta resurrezione, ma mai la resurrezione in sé. 

E poi vengono descritti avvenimenti che coinvolgono il Cristo già risorto, le persone che incontra e quello che fa dopo la resurrezione.

 Ma non la resurrezione in sé come evento soprannaturale. Forse non è difficile capire il motivo di questa scelta. 

L'evento divino che racchiude il messaggio evangelico “si risorge dalla morte”, lo sforzo logico che si richiede ai fedeli per millenni, non può essere descritto come un evento reale “pur essendolo” (per chi crede al dogma). Si deve comunicare al fedele che anche ai contemporanei di Cristo fu richiesto un atto di fede. 

Non serve essere credenti per ammettere che Cristo sia nato e sia morto. Bisogna esserlo per credere che è risorto.

 Questa lunga premessa per arrivare al variegato mondo dei pittori occidentali dal Tredicesimo secolo in poi. 

Una volta stabilito con concili, scismi e dibattiti vari, che il sacro si può (e si deve) rappresentare visivamente, si sono sbizzarriti per secoli nel trovare soluzioni accettabili per rappresentare eventi spesso non immediatamente accettabili, almeno dal punto di vista logico. 

La teologia può fare tutti i voli pindarici che vuole, ai concili i papi possono approvare i dogmi più complicati che vogliono, poi però il problema vero è degli artisti, quando vengono chiamati a rappresentare eventi che se ne fregano della realtà sensibile, ma in maniera che siano credibili all'occhio. 

Nascita e morte si fa presto ad immaginarli, anche grazie all'abbondanza di dettagli nei vangeli, la resurrezione va studiata meglio. 

Non essendoci un passo esplicito, si saranno chiesti i pittori (e i preti committenti presumo) l'evento va rappresentato esplicitamente o no? 

Prima di fare un veloce (e incompleto) giro tra qualche resurrezione dell'arte moderna, vediamo da cosa si parte prima, ossia dall'arte bizantina. 



I simbolici cristiani orientali rappresentavano sin dall' VIII/IX secolo  la resurrezione e la discesa agli inferi di Cristo come un unico avvenimento (breve riassunto per chi ha saltato il catechismo, Cristo dopo la morte scende all'inferno a liberare Adamo ed Eva e altri personaggi biblici nati prima di lui). 

In talune rappresentazione bizantine esiste già il Cristo risorto assieme alle rappresentazioni della tomba vuota o dell'incontro con Maddalena dopo la ressurezione , in cui le dice “non toccarmi” (“noli mi tangere”), evento in seguito molto spesso rappresentato. 


E arriviamo a Giotto. 

Il padre della pittura moderna italiana che ha portato la rapprentazione sentimentale e realistica nell'arte occidentale, si pone per primo il problema empirico della rappresentazione di un evento sovrannaturale. Per quanto ne sappia, fu la prima resurrezione “non rappresentata”. 

Un realista come Giotto non poteva rappresentare irrealistici uomini barbuti sospesi per aria, peraltro mai descritti da nessuna parte. Giotto si attiene ai vangeli: tomba vuota (non c'era lo spazio per la pietra srotolata), angeli di guardia, guardie stordite/dormienti. 

A lato poi il “noli mi tangere”, un Cristo già risorto di bianco vestito, con una bella bandiera in cui a scanso di equivoci vi è rappresentata una croce e l'annuncio che ha vinto la morte (“Vincitor Mortis”). 

Tomba vuota e “noli mi tangere “ sono ovviamente nello stesso spazio anche se avvengono in momenti diversi, pratica che permarrà in pittura fino a tutto il Quattrocento e anche per un po' di Cinquecento, pratica detestata da Leonardo da Vinci (ne parla, tra mille altre cose, nel “De Pictura”). 

La “non” resurrezione di Giotto è alla Cappella degli Scrovegni di Padova, datata 1303.

La soluzione “empirica” di Giotto ebbe seguito nel Trecento e nei secoli successivi? 

Mi sembra di no. 

Molto presto i committenti iniziarono a chiedere agli artisti di disegnarlo il Cristo risorto, mentre risorge, manifestazione visibile di una fede che dovrebbe essere piuttosto un credere nel non visto, come ricorda Giotto nella sua quieta tomba vuota con soldati dormienti. 




Durante il Trecento il soggetto continua a non essere tra i più rappresentati, compare di solito nei pannelli inferiori o posteriori delle grandi pale di altare, come quella di Duccio, oggi smembrata, ma originariamente appartenente alla “Maestà” del duomo di Siena dipinta tra il 1308 e il 1311. La resurrezione è un piccolo pannello originariamente posto nella parte posteriore della grande pala di altare , una delle tante “vignette” del megafumetto sulla passione . 




Non c'è traccia di Cristo, solo un angelo che parla con le donne davanti alla tomba vuota. Non deve stupire troppo l'assenza di Cristo in queste prime resurrezioni. 

Oltre ai motivi che si supponevano prima, bisogna anche ricordare che si parla quasi sempre di parti parti di un ciclo di affreschi o pannelli di pale di altare che raccontano una storia con tante immagini, esattamente come un fumetto ante litteram, per cui l'assenza di Cristo nel pannello della resurrezione, situato tra quello della deposizione e quello dell'apparizione in carne ed ossa post mortem, rende perfettamente comprensibile il concetto. 

Quando si inizia dunque a rappresentare Cristo nell'atto preciso in cui risorge? 

(Per l'inserimento dei seguenti due autori ringrazio il lettore o la lettrice che li ha segnalati nei commenti).



Non so quale sia esattamente la prima rappresentazione in tal senso, ma ne troviamo un esempio nella Basilica di Assisi datato 1310 circa a opera di Piero Lorenzetti. 

L'affresco occupa l'angusto spazio di una semilunetta laterale, parallela alla "discesa agli inferi" presente dall'altra parte.

Piero vuole rendere la centralità di Cristo risorto, ma fa tanta fatica, perchè la lunetta è laterale e curva verso sinistra!

Però ci prova lo stesso disegnando schiere di angeli adoranti e molto gotici attorno al risorto, anche se quelli di destra vengono un po' schiacciati.

Lo sfondo è scuro, il paesaggio accennato sulla destra sono delle semplici montagne e qualche alberello.

Per esigenze puremente compositive e di spazio, il Cristo non può uscire centralmente dal sepolcro, ma spostato sulla destra, in modo di essere centrale allo spazio pittorico. I soldati dormienti ai piedi del sepolcro sono realizzati con commovente realismo. 



Un'altro senese, Niccolò di Segna, che aveva collaborato con lo stesso Lorenzetti, porta avanti l'idea del Cristo che esce dal sepolcro in questo polittico della resurrezione, datato 1348. Un polittico pienamente gotico, la scuola senese era quella che più guardava al gotico internazionale, a differenza della scuola fiorentina che con Giotto e i suoi seguaci aveva iniziato l'originale percorso realistico.

Il polittico, visitabile al Duomo di Sansepolcro, non ha oggi la fama che meriterebbe, perchè offuscata dal suo più noto "successore", di cui parleremo tra poco.

A Niccolò va dato il merito di aver dato centralità all'idea di Lorenzetti, inserendola in un pregevole polittico e codificando una soluzione che verrà poi perfezionata in una delle più famose resurrezioni della storia dell'arte, in pieno Rinascimento, più di un secolo dopo.



Parliamo della famosa resurrezione di Piero della Francesca, affresco per il duomo di Sansepolcro, oggi al museo civico della città

Uno dei dipinti più belli del Quattrocento, secondo Aldous Huxley addirittura “il più bel dipinto del mondo”: il “Cristo Risorto” di Piero della Francesca, dipinto dal pittore toscano tra tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Quattrocento.


Non ci sono angeli, i soldati dormono alla base del sepolcro, come quelli di Giotto.

Piero riprende il modello gotico di Lorenzetti, ma soprattutto di Niccolò di Segna, da cui mutua la posizione del Risorto. 

Cristo esce dalla tomba e ti guarda dritto. E' lo sguardo di un vincitore, con tanto di vessillo. Colui che ha vinto la morte.

La vittoria sulla morte è la parte centrale del dogma della resurrezione, la resurrezione di Piero è probabilmente l'opera che rappresenta questo concetto nella maniera più rigorosa possibile. 

Anche il paesaggio alle spalle contribuisce a rappresentare metaforicamente la vittoria del Cristo sulla morte: alla sua destra la campagna è brulla, gli alberi spogli, alla sua sinistra rigogliosa. 

Non ci sono effetti speciali, non ci sono lievitazioni o luci. 

Il Risorto è un corpo vero e proprio, con pettorali invidiabili peraltro. Un piede sull'orlo del sepolcro ci suggerisce l'atto stesso del venir fuori, è come se si fosse fermato nell'atto per una foto. Bandiera crociata che attesta la vittoria sulla morte, piaghe ben visibili. 

Il Cristo di Piero si mostra nell'atto del risorgere, l'evento sovrannaturale è rappresentato in maniera assolutamente naturale. L'equilibrio perfetto tra la “non rappresentazione” precedente e la rappresentazione esplicita che diverrà sempre più richiesta dai committenti e dalla chiesa. 

La resurrezione di Piero della Francesca è il perfetto esempio di come un'opera geniale ha sempre una fonte di ispirazione precedente, non deve necessariamente essere del tutto originale. L'originalità sta nell'utilizzare soluzioni vecchie in maniera nuova, in un processo di rinnovamento continuo del linguaggio visivo.

E cosa importa se il terzo soldato è rappresentato senza le gambe per non turbare la composizione? Direi assolutamente nulla.




Nel Quattrocento il Perugino dipinge una strana resurrezione oggi in Vaticano (la “Resurrezione di San Francesco al Prato”
.

Non c'è nulla dell'equilibrio di Piero, qui il Risorto e dritto e lievitante in aria dentro la “mandorla” tipica dei dipinti bizantini, due angeli innaturalmente simmetrici ai lati. Quattro simmetrici soldati in basso, tre dormono, uno fa un gesto che dovrebbe essere di stupore, ma mi pare poco convinto. Perugino ha capito la lezione leonardesca della prospettiva aerea, dello sfumato, ma la struttura del dipinto è ancora troppo legata alla tradizione gotica.



Un suo allievo, poi famosissimo, si cimenta in un'altra resurrezione pochissimo dopo.

E' il 1502, Cristo risorto lievita in aria senza la “mandorla”, il che in teoria dovrebe farlo sembrare più naturalistico, ma lo rende addirittura più strano, perchè è proprio ritto in piedi in aria senza nemmeno una giustificazione decorativa. 

Stessi angioletti di lato simmetrici, guardie un po' dormienti un po' sveglie. Non una grandissima opera, ma il ventenne che la dipinse si chiamava Raffaello Sanzio e negli anni successivi arriverà a vette ben più alte. Dal Cinquecento in poi le resurrezioni saranno tantissime, prende sempre più piede la rappresentazione del Risorto con effetti speciali, soldati romani sempre più svegli e stupiti, illuminazioni irrazionali che escono dal sepolcro, angeli a frotte che svolazzano. 

La maniera moderna prende piede, ma la pittura controriformata vuole stupire, il barocco non può accontentarsi della semplice maestosità di Piero, né tantomeno delle resurrezioni “suggerite” trecentesche. 



Prima però di addentrarci negli eccessi dei secoli successivi è il caso di citare "Noli me tangere" opera di Antonio Allegri, in arte Correggio. 

Il pittore emiliano è considerato, a ragione, l'anticipatore della pittura barocca, opera nel tardo Rinascimento. 

Questo meraviglioso olio su tela, oggi al Prado è del 1524 circa. Il Rinascimento stava per esplodere.

Raffaello era morto da quattro anni, Leonardo da cinque. Michelangelo in quegli anni era lontano dalla pittura. 

Lutero aveva già da tempo iniziato il processo di scissione della cristianità, ma la Chiesa Cattolica non aveva ancora messo a punto la contromossa del Concilio di Trento. 

Alla fine del secolo gli artisti che avessero operato all'interno del cattolicesimo avrebbero avuto un vero e proprio vademecum su come rappresentare le immagini sacre, codificato dal bolognese cardinal Paleotti nel suo "Discorso intorno alle immagini sacre e profane", che contribuirà  per più di un secolo a rendere molta pittura barocca simile e ripetitiva.

In "Noli me tangere" l'atmosfera  è dolce e sfumata. I due protagonisti sono legati non solo da una rigorosa diagonale che parte dalla mano sinistra di Cristo fino a quella destra della Maddalena, ma anche da un intenso legame fatto di sguardi.

Il momento rappresentato è molto preciso ed è tratto dal vangelo di Giovanni: la Maddalena va a visitare il sepolcro , lo trova vuoto, piange pensando che il corpo di Cristo è stato trafugato. 

«Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre»

Vale la pena citare il passo esatto del testo biblico per poter apprezzare come, in una sola immagine, Correggio sia riuscito a rappresentare la commozione, lo stupore e anche la dolcezza del momento esatto in cui la donna riconosce in colui che pensava fosse un semplice giardiniere, il maestro risorto. E anche il momento successivo in cui il Risorto le dice "non mi trattenere", con la mano destra, e "non sono ancora salito al Padre" con la sinistra. Non si lascia al caso nemmeno l'equivoco del giardiniere, sulla destra un piccolo orto, una pala e una vanga.

Tutto è molto terreno, atmosferico, ma allo stesso tempo alto e toccante.

Correggio riesce a narrare diversi momenti in uno solo senza essere didascalico e riuscendo persino a commuovere. 

Le opere di Correggio sono un perfetto equilibrio dei modi pittorici della cosidetta " maniera moderna" prima delle esasperazioni e delle ripetitività successive. 



Parlando di esaperazioni, prima di passare a quelle barocche, non possiamo non parlare di quelle manieriste.
I manieristi furono ispirati principalmente ad uno solo dei tre padri della "maniera moderna", il burrascoso Michelangelo.

Uno dei maggiori esponenti di questa corrente fu quel genio di Jacopo Carucci AKA Pontormo, autore dell'affresco (oggi staccato) a tema resurrezione .

Il Risorto del Pontormo si erge simmetrico in mezzo ad un mucchio di soldati dormienti e coloratissimi. Una pure e semplice composizione di soli corpi.

L'abbandono totale di paesaggi, atmosfere e prospettive, l'uso di colori sgargianti da "gelateria"era una delle caratteristiche dell'ispiratore massimo dei manieristi che all'epoca di questa realizzazione di Pontormo aveva già creato quello spartiacque monumentale che è la volta della cappella di Sisto, ma non aveva ancora dipinto il "Giudizio universale".

Le anatomie però non sono quelle muscolose e steroidali michelangiolesche.





Ricordiamo poi la ectoplasmatica e quieta resurrezione del Tintoretto del 1555
 in cui il Risorto risulta emanante luce propria, leggermente lievitante. Sono le prime luci dell'alba, come dice la tradizione, soldati dormienti. Diverse scene rappresentate in una, sullo sfondo il Golgota, niente angeli.



Nello stesso soggetto rappresentato più di vent'anni dopo sempre dal pittore veneziano c'è molto più dinamismo, Cristo vola fuori dal sepolcro che adesso è inserito in una grotta, qualche soldato dorme, è pieno di angeli. 

E' già spettacolo, non più pacata riflessione per immagini.



Rubens nel 1612 fa ancora di più, rappresenta il Risorto praticamente nudo e frontale, che esce dal sepolcro tronfio e trionfante. Niente angeli, ma soldati svegli e chiaramente meravigliati ai limiti dello shock. Siamo ormai in pienissimo barocco, l'arte religiosa è arte propagandistica ben codificata da tempo, da lì a poco l'Europa verrà dilaniata dalle guerre di religione. 

Però non mi piace concludere così, quindi torno un po' indietro, al 1512/16. In questi anni il bizzarro e geniale pittore tedesco Matthias Grünewald dipinge l' Altare di Issenheim (in Alsazia) e nell'ultima pala è rapprentata una resurrezione molto peculiare, che non ha uguali tra i dipinti del suo tempo.



Qui Cristo risorge di notte, non alle prime luce dell'alba come da tradizione. I pochi soldati sembrano destarsi leggermente dal loro sonno, quello in primo piano sembra proteggersi dalla luce, ma potrebbe anche essere un movimento inconscio durante il sonno. Cristo guarda dritto, come quello di Piero, ma qui sembra quasi sorridere. 

E' biondissimo e bellissimo, lontano anni luce dallo stesso Cristo rapprensentato dall'altra parte della pala di altare, il grottesco e deforme crocifisso pieno di spine contorto dal dolore. Il Risorto anche qui vola, ma sembra un volo lieve e naturale, una verticalizzazione sottolineata dal panno che si porta dietro, che la rende naturale. Un globo luminoso avvolge il Risorto, come se fosse un sole, che ricorda un po' le “mandorle” bizantine e medievali, ma senza quell'effetto di staticità. 

Una resurrezione molto diversa dal capolavoro assoluto di Piero della Francesca, ma diversa anche da tutte le altre, lunare e metafisica.


Marco Lanza

(scritto ad aprile 2021, integrato nell'aprile 2022)


Commenti

  1. Ciao! Innanzitutto ti volevo dire che trovo meravigliosa questa idea e credo che possa essere molto stimolante, quindi grazie. Poi volevo aggiungere mezza cosa: esiste un polittico detto della Resurrezione al quale probabilmente si è ispirato Piero. Il dipinto si trova sull'altare maggiore del Duomo di Sansepolcro ed è stato fatto da Niccolò di Segna nel 1348. Comunque sarebbe super interessante cercare di capire
    Da cosa fu dettato questo cambiamento di iconografia e i precedenti, anche perché nonostante l'amore che possiamo provare per il povero Niccolò di Segna non credo che si possa attribuire a lui questo cambio di rotta. :)

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    1. Perdonami ma alla fine questo tema mi ha coinvolto parecchio. Credo che una delle prime raffigurazioni sia Quella di Pietro Lorenzetti nella basilica di Assisi, risalente al 1310 ca. In questo modo si potrebbe spiegare anche perché il poro Niccolò fosse a conoscenza di questa iconografia.

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    2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    3. Grazie mille per il tuo commento e soprattutto per la precisazione, ammetto che non conoscevo questi esempi. Appena ho tempo aggiungo i precedenti nel post. L'excursus è per forza incompleto, come ho scritto, e il capolavoro di Piero resta comunque uno spartiacque, però ogni contributo a capire meglio i percorsi è prezioso

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    4. Figurati, immaginavo fosse impossibile mettere tutto lo stato dell'arte in un articolo, infatti la mia non era assolutamente una correzione. È solo che penso che se ognuno mettesse un pezzetto sarebbe più facile per tutti fare ricerca. Per esempio io mica l'avevo notata questa cosa, quindi se non ci fossi stato tu non avrei mai ricollegato Niccolò a Lorenzetti.
      Buona giornata!

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    5. Va benissimo! Ho creato questo spazio per avere un luogo stimolante dove parlare d'arte! Ho aggiunto le tue correzioni! Se hai piacere scrivo anche il tuo nome! Alla prossima!

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