Sant' Agata tra manierismi, body art e contemporaneità
Il proconsole di Catania Quinziano perseguita i cristiani locali, lei fugge con la sua famiglia. Viene arrestata, portata a palazzo. Quintiano si accorge che Agata è pure b.. ehm.. avvenente e vuole convincerla con la forza a rinnegare la religione fuorilegge e poi chissà che altro. La giovane rifiuta e il perverso Quinziano la fa torturare facendole strappare le tette.
Ovviamente Agata muore, vergine, martire e la fanno santa, ancora oggi veneratissima a Catania.
Un martirio così perverso e sadico non poteva che solleticare la fantasia di tanti artisti.
L'immagine “ufficiale” di Sant'Agata , almeno a Catania, sua città d'origine e quella dove è maggiormente venerata, è quella portata in processione nella città etnea, un'enorme e folle processione che coinvolge tutta la città , la terza manifestazione più grande al mondo dopo la Semana Santa di Siviglia, in Spagna, e il Corpus Domini a Cuzco, in Perù.
Si tratta proprio dello stesso reliquiaro a forma di busto, completamente ricoperto di decorazioni argentate e dorate e pietre preziose, realizzato nel 1376 dal senese Giovanni Di Bartolo.
La santa è incoronata,in mezzo a due mini angeli con armatura, sorridente dentro questa lussuosa e leggermente asfissiante armatura che ricorda un po’ il gusto bizantino nella decorazione, ma che è a tutti gli effetti una statua gotica, non a caso realizzata da un artista senese (Siena fu il più importante centro del gotico internazionale nell’Italia del XIV secolo)
Nei mosaici del duomo di Monreale , quelli sì veramente bizantini (XII secolo) , Agata è rappresentata con la tipica posa impassibile tipica dei bizantini, assieme a Sant’Antonio e San Biagio.
I due colleghi santi maschi hanno qualche dettaglio iconografico che li contraddistingue, per quanto riguarda Agata ci dobbiamo fidare, nulla lascia trapelare il suo atroce martirio.
In ogni caso, per non sbagliare, il mosaicista ha scritto i nomi di ognuno al fianco della rappresentazione.
Esiste poi anche un altro filone, per me più interessante, che rappresenta il martirio della santa, mentre le estirpano o stanno per estrirpare i seni.
In realà è un filone che parte da lontano, non risparmiando dettagli gore e splatter in nessun periodo storico.
Più o meno contemporaneo al pacifico mosaico bizantino di Monreale, questa miniatura del 1170/1200 rappresenta un quasi annoiato proconsole Quinziano che assiste all’estirpazione dei seni della martire, ad opera di un solerte aguzzino.
Per quanto cruda sia la rappresentazione, nemmeno Agata sembra molto coinvolta nella cosa, ma perchè gli artisti inizino a capire come fare le espressioni e le emozioni dobbiamo aspettare ancora quasi un secolo, per cui accontentiamoci di questo.
Un'altra famosa rappresentazione della santa , in pittura, la raffigura a mezzo busto, dal volto soave, con in mano un piattino che sembra contenere dei dolcini .
Sembra una giovane domestica che ti porta il caffè e i pasticcini, come possiamo vedere in questa dolcissima rappresentazione del grande pittore barocco spagnolo Francisco De Zurbaràn del 1633.
Ma non sono dolcini, sono I SUOI SENI, graziosamente servite su un piatto.
Pare che nessuno degli artisti che abbia rappresentato la santa in questo modo, così come quelli che hanno rappresentato Santa Lucia con un piattino offrente due bulbi oculari si sia mai soffermato sull'intrinseca surrealtà di quell'immagine, che manco Magritte.
Sono tantissime le rappresentazioni di sant'Agata che porge le proprie tette graziosamente in un vassoio, tette a volte rappresentate piuttosto miniscole per motivi di spazio, come in questo dipinto di area lombarda di fine Seicento, nel quale le mini tettine servite dalla sua stessa ex proprietaria sono visibilmente più piccole di quelle che la stessa (ex?) proprietaria sembra ancora avere attaccate al torso.
Ovviamente col tempo la fervida fantasia dei catanesi ha fatto in modo che quei dolcetti esistessero davvero, e infatti in ogni bar di Catania potete rischiare il diabete fulminante chiedendo un paio di “minne di Sant’Agata”.
Ne esistono tante di queste versioni “gentili” della rappresentazione della santa, che si contrappongono a quelle sadomaso.
Piero della Francesca, nel polittico di Sant’Antonio del 1460/70 , ne inserisce una versione in un tondo di uno dei pannelli.
Un’ Agata che serve in un vassoio le parti anatomiche in questione, in maniera gentile ma un po’ formale, mi verrebbe da dire pure un po' contrariata (e ne ha tutte le ragioni), senza la dolcezza della versione di Zurbaràn di qualche secolo dopo.
Sarebbe davvero troppo dispersivo parlare di tutte le versioni di Sant’Agata, se ne trovano tante in rete e nelle chiese.
Moltissime sono rappresentazioni manieriste o barocche, anche se non mancano rappresentazioni dei secoli precedenti.
Avrei voluto citarne una fiamminga che vidi tempo fa, ma non ricordo l’autore e non sono riuscito a trovarla, sono sempre grato a chiunque segnali eventuali opere o inesattezze che possono sfuggirmi, in modo da poter ampliare e questi post e far si che siano lo spunto di una discussione.
Mi vorrei principalmente soffermare su tre opere manieriste della rappresentazione della santa, soprattutto su una.
Ricercando materiale iconografico per ampliare questo post, mi sono imbattuto in questa elegantissima statua manierista dello scultore Martino Montanini, del primi anni del XVI secolo (non sono riuscito a trovare la data precisa, ma immagino massimo tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Cinquecento).
La statua si trova nel duomo di Taormina, e mi sono riproposto di andarla a vedere dal vero quando torno in Sicilia.
Gli artisti manieristi non avevano come riferimento diretto la natura, ma la “maniera moderna” dei grandi artisti rinascimentali.
Per tanto tempo non sono stati amati dalla critica proprio per questa presunta mancanza di originalità e per una certa esagerazione nell’esecuzione, come a voler dire “guardate come sono bravo”.
E’ da qui che viene la definizione “esecuzione di maniera” per parlare di qualcosa realizzata sì bene, ma in maniera stucchevole, un po’ esagerata, senza anima.
Ci sono voluti secoli perchè finalmente i manieristi venissero apprezzati non soltanto come meri “copiatori” di stili altrui, ma come artisti orginali, come in effetti furono.
Nella statua di Montanini vediamo subito tanti aspetti tipicamente manieristi: le pieghe fittissime, esagerate, del vestito, la sua trasparenza un po’ erotica che ci lascia intuire un capezzolo (ricordiamo che questa statua si trova all’interno di una chiesa!), la pettinatura elegante e sofisticata.
Tutta questa eleganza in qualche modo contrasta con la brutalità di ciò che Agata tiene in mano, ossia una tenaglia con un suo seno a rappresentare il suo martirio.
Ma a ben contare i seni Agata li ha entrambi ancora attaccati e aggiungerei ben evidenti sotto quella sua maglietta fina.
Non importa, l’importante è la rappresentazione simbolica e l’eleganza della rappresentazione stessa.
Un altro importate esponente del manierismo, Girolamo Francesco Maria Mazzola meglio conosciuto come il Parmigianino, si cimenta con Sant’Agata in un affresco giovanile del 1520 (aveva vent’anni) per la chiesa di San Giovanni Evangelista di Parma.
Personalmente non mi sembra una grande rappresentazione.
Le pose sono esagerate, ma questa è una delle caratteristiche degli artisti manieristi. C’è la ricerca di un’eleganza a mio parere ancora un po’ goffa.
E poi diciamolo, le braccia sono orribilmente grosse, che nemmeno Braccio di Ferro!
E’ evidentissima l’influenza di Michelangelo, ma ancora un po’ scopiazziata.
Parmigianino troverà un suo stile più personale, le famose “figure allungate” (celeberrima “La madonna dal collo lungo”del 1534/40) poco tempo dopo (si vede già nella “Pala di Bardi” del 1521).
Ma già in questo martirio di Sant’Agata, con la protagonista legata con le mani in verso l’alto, sembra stia già iniziando a “”strecciare” le figure con la tortura!
Lo stesso anno in cui il giovane Parmigianino allunga la sua povera Agata, un suo collega con un po’ più di esperienza, realizza una sua versione del martirio: Sebastiano del Piombo.
Anche lui è considerato un manierista, ma è un manierista che ha assistito alla grande rivoluzione della maniera moderna avendo una maggiore vicinanza (anche anagrafica e di reale conoscenza, come vedremo) con alcuni suoi protagonisti.
Sebastiano del Piombo nel 1520 ha trentacinque anni e dipinge questo “Martirio di Sant’Agata”.
All'interno della Chiesa è appena iniziato lo scisma protestante, solo tre anni prima Lutero espone le sue famose 95 tesi sul portone della chiesa di Wittemberg.
La chiesa di Roma non si rende ancora conto della portata della questione, ci vorranno più di ottant'anni prima che il cardinale bolognese Paleotti scriva il vademecum per gli artisti che volessero fare arte sacra, con tutte quelle indicazioni e proibizioni che saranno poi alla base della pittura della Controriforma.
A inizi Cinquecento Sebastiano, veneziano, è a Roma.
E' lì che bisogna stare in quegli anni se si vuole stare al passo con le più innovative tendenze artistiche. Michelangelo sta finiendo in quegli anni la volta della Cappella Sistina, che da allora resterà per secoli un punto di riferimento per generazioni di artisti.
Raffaello sta dipengendo le stanze vaticane.
Sono loro due gli artisti che bisogna tenere d'occhio per stare al passo coi tempi.
Sebastiano è amico di entrambi, sa che sono rivali.
E sa che Raffaello è più popolare (Michelangelo, si sa, ha un caratteraccio, litiga pure col papa).
Sebastiano però è più amico di Michelangelo, come ci dice il solito Vasari
«Molti artefici che più aderivano alla grazia di Raffaello che alla profondità di Michelagnolo, erano divenuti, per diversi interessi, più favorevoli nel giudizio a Raffaello che a Michelagnolo. Ma non già era de' seguaci di costoro Sebastiano perché, essendo di squisito giudizio, conosceva a punto il valore di ciascuno. Destatosi dunque l'animo di Michelagnolo verso Sebastiano, perché molto gli piaceva il colorito e la grazia di lui, lo prese in protezione”.
Nel 1520, anno in cui venne dipinto il “Martirio di Sant'Agata”, è lo stesso anno in cui muore prematuramente Raffaello, a soli trentasette anni.
Questo quadro mi sembra che stia in perfetto e precario equilibrio tra tantissime cose.
C'è un bel po' di Michelangelo nelle anatomie, ma senza esagerare come faranno i manieristi da lì a poco e come già faceva il giovane Parmigianino nel Duomo di Parma.
C'è un po' della grazia di Raffaello, la santa ha uno sguardo perduto nel vuoto, quasi malinconico, mentre i carnefici le stanno per strappare i capezzoli.
Sembra quasi di trovarci davanti ad una pratica erotica sadomasochistica di gruppo, più che un martirio.
L'accostamento sembra dissacrante, ma non lo è.
L'esasperazione di certe rappresentazioni, un certo compiacimento nella rappresentazione del dolore inflitto, secondo taluni sta alle origini della nascita di un certo immaginario erotico e l'armamentario parafiliaco legato sadomasochismo.
Rimanendo più strettamente all'interno della storia dell'arte, questo tipo di rappresentazioni che cercano il coinvolgimento del fedele nella rappresentazione di questi atti brutali verso i corpi dei martiri assomiglia molto da vicino alle intenzioni di molti artisti estremi della body art.
Mi viene in mente Gina Pane con le sue performace estreme degli anni Settanta in cui si conficcava spine di rose nel braccio e poi si tagliava con un rasoio oppure le performance sadomasochistiche estreme dell’Azionismo Viennese tra gli anni Sessanta e Settanta.
Un certo gusto perverso per il voyerismo e il sadico si svilupperà , paradossalmente, anche grazie alle queste rappresentazioni sadiche dei martiri avvolti dalle tenebre della pittura controriformata e all'ossessione del controllo e del proibito che caratterizzerà gli anni della Controriforma.
Questo è un esempio della tematica affrontata dal pittore Francesco Guarino negli anni dieci del Seicento, in pienissimo periodo barocco.
Ma negli anni Venti del Cinquecento le esagerazioni barocche devono ancora arrivare.
Nella sua opera Sebastiano trova un equilibrio.
C'è sì,la rappresentazione del brutale martirio, ma senza compiacimento, la scena è quasi congelata e maliconica, tutti sono fermi, perfettamente illuminati, quasi si guardano negli occhi.
Dietro, un incendio ( il terremoto e incendio che, secondo la leggenda, seguì il martirio di Agata), più indietro ancora, il classico, sereno, scorcio prospettico rinascimentale di leonardesca memoria, svelato da una tenda.
Vorrei concludere con un’immagine di Sant’Agata trovata durante la ricerca iconografica per questo post.
E’ l’interpretazione di un’artista contemporanea del Minnesota, Caitlin Karolczac, che ho trovato molto interessante ( questo è il link del suo sito web per vedere altre opere .
In questo dipinto del 2011, ad olio e pigmento dorato montato su un’antica cornice (come dice la descrizione), la santa è rappresentata a mezzo busto e guarda verso di noi.
Lo stile ricorda i ritratti dei pittori rinascimentali, il cielo azzurro , anche se annuvolato, ricorda la pittura veneziana.
Agata è una bella ragazza dai capelli corvini, ci guarda.
Lo sguardo è severo e intenso, gli occhi lucidi, come se chiedesse coivolgimento allo spettatore non drammi o patemi, ma con la semplice forza dello sguardo.
Ci presenta , in una ciotola che sembra di ceramica, i seni asportati simbolo del suo martirio.
La semplice veste sembra tagliata per lasciare la parte destra del busto nuda, che mette in mostra un seno già tagliato, che lascia intravedere gli strati della pelle, della carne, fino alle ossa delle costole.
Un’immagine impressionante, ma non morbosa, che cerca il coinvolgimento dello spettatore più con lo sguardo che con il sangue o perversi giochi sadici. La crudezza dell’invenzione pittorica ai limitin dell’horror è incredibilmente bilanciata dalla placidità della composizione, dal forte impatto psicologico dello sguardo della santa e anche dalla citazione bizantina nell’uso dell’oro nell’aureola, come a sottolineare che si tratta comunque di un’immagine sacra.
Non conosco le motivazioni dell’artista per la realizzazione di questo quadro, che potrebbe benissimo essere dissacrante oppure assolutamente serio nella sua ricerca postmoderna di un senso del sacro e anche di una visione del martirio.
Martirio che potrebbe anche perdere, per noi uomini e donne del XXI secolo, ogni significato religioso, ma a cui potremmo dare un significato più ampio.
Potrebbe rappresentare il martirio non di una santa, ma della donna.
Potrebbe essere sempre Agata, la cui sofferenza travalica i significati religiosi e i millenni.
Con una meravigliosa sineddoche la Agata di questo quadro ci guarda dritto negli occhi col suo seno amputato e ci dice che per molte donne il martirio non è ancora concluso.
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